“Se la tradizione plasma il nostro processo di identificazione bisogna aggrapparsi ad essa o emanciparsi da essa?”
Questa è una domanda assai importante in una epoca in cui diverse “potenze” o ideologie intendono tagliare ai giovani le proprie radici, facendogli credere nell’inganno che tutto ciò che si è fatto nel passato era uno sbaglio e che quindi bisogna essere i protagonisti di un nuovo inizio, i veri costruttori di un futuro liberandosi dal passato. Ma tutto ciò lungi da essere un cammino di liberazione è una strada verso l’autodistruzione; perché, come per un albero le sue radici sono fonte di vita, senza le quali non può alimentarsi, crescere e portare frutto, così per noi le nostre radici, la nostra storia, la memoria di coloro ci hanno preceduto, sono come una fonte dalla quale può scaturire una migliore comprensione di chi siamo e di chi vogliamo essere. In questo senso, come hai detto, “la tradizione forma il sé”, ovvero ha un ruolo da una parte costitutivo, perché ci sono elementi della nostra cultura che sono determinanti in noi, ma anche costruttivo, giacché prendendo spunto da ciò che riceviamo come eredità, abbiamo la libertà di decidere chi vogliamo essere. Perciò è fondamentale formarci e formare nella capacità critica, per saper discernere con saggezza quali elementi della tradizione che abbiamo ricevuto sono essenziali e quindi da custodire e sviluppare e quali invece devano essere cambiati, aggiornati o addirittura “abbandonati”.
Insegnare a conoscere, amare e custodire le proprie radici è sicuramente, non solo un compito importante che l’educatore ha, ma anche uno dei grandi valori che egli può ereditare ai propri studenti e che accompagnerà il loro cammino di crescita per tutta la vita; giacché – come dice un poeta argentino- «Lo que el árbol tiene de florido, vive de lo que tiene sepultado» , ossia, ciò che l’albero ha di fiori (e di frutti), ha vita grazie a ciò che di lui è sotterrato, ovvero le sue radici.
“Se la tradizione plasma il nostro processo di identificazione bisogna aggrapparsi ad essa o emanciparsi da essa?”
Questa è una domanda assai importante in una epoca in cui diverse “potenze” o ideologie intendono tagliare ai giovani le proprie radici, facendogli credere nell’inganno che tutto ciò che si è fatto nel passato era uno sbaglio e che quindi bisogna essere i protagonisti di un nuovo inizio, i veri costruttori di un futuro liberandosi dal passato. Ma tutto ciò lungi da essere un cammino di liberazione è una strada verso l’autodistruzione; perché, come per un albero le sue radici sono fonte di vita, senza le quali non può alimentarsi, crescere e portare frutto, così per noi le nostre radici, la nostra storia, la memoria di coloro ci hanno preceduto, sono come una fonte dalla quale può scaturire una migliore comprensione di chi siamo e di chi vogliamo essere. In questo senso, come hai detto, “la tradizione forma il sé”, ovvero ha un ruolo da una parte costitutivo, perché ci sono elementi della nostra cultura che sono determinanti in noi, ma anche costruttivo, giacché prendendo spunto da ciò che riceviamo come eredità, abbiamo la libertà di decidere chi vogliamo essere. Perciò è fondamentale formarci e formare nella capacità critica, per saper discernere con saggezza quali elementi della tradizione che abbiamo ricevuto sono essenziali e quindi da custodire e sviluppare e quali invece devano essere cambiati, aggiornati o addirittura “abbandonati”.
Insegnare a conoscere, amare e custodire le proprie radici è sicuramente, non solo un compito importante che l’educatore ha, ma anche uno dei grandi valori che egli può ereditare ai propri studenti e che accompagnerà il loro cammino di crescita per tutta la vita; giacché – come dice un poeta argentino- «Lo que el árbol tiene de florido, vive de lo que tiene sepultado» , ossia, ciò che l’albero ha di fiori (e di frutti), ha vita grazie a ciò che di lui è sotterrato, ovvero le sue radici.