La maschera.
La maschera fin dall’antichità è stato oggetto di discussione per l’essere umano. Per il senso comune “la maschera” rappresenta quell’oggetto che, applicato sul viso, ne rende impossibile il riconoscimento. Viene impiegata a scopo rituale, bellico (per incutere terrore al nemico), scenico (per sottolineare con maggiore evidenza il carattere e la funzione di un personaggio), di divertimento (come quelli per lo più grotteschi e spesso molto semplificati che si usano per il carnevale). Se pensiamo al ruolo della maschera nell’ambito sociale e individuale, possiamo comprenderne anche la sua carica simbolica. Nella letteratura, infatti, è stata motivo di ispirazione per molti letterati, basti pensare a Luigi Pirandello, che sottolinea come l’autenticità della vita sia costantemente messa a rischio dagli stessi meccanismi sociali, che intrappolano l’uomo in una rete di convenzioni e che gli impongono un’identità fittizia data da una maschera sociale. Per Pirandello, la realtà appare come un continuo conflitto tra la vita e la forma, in cui gli individui non riescono a vedersi in modo “integro” e “unitario” ma solo come un personaggio che indossa una maschera fissa. Nelle società contemporanee questa concezione è stata ripresa anche da altri studiosi come Erving Goffman che, nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione”, evidenzia come la vita di tutti i giorni sia come uno spettacolo teatrale, l’individuo è portato a comportarsi sulla scena sociale come se indossasse una maschera, un ruolo, un compito che lo fa adeguare alla scena in cui si trova. Nel momento in cui finisce la scena l’attore si trova sul retroscena e depone la maschera e si sente più libero poiché non si trova più sul “palcoscenico sociale”.
Queste concezioni, presenti da molto tempo nella società sottolineano la necessità di un modello educativo capace di far sviluppare le potenzialità di ogni individuo, non tanto come essere individuale, ma piuttosto come un essere sociale, attraverso quelle che MacIntyre definisce “attività umane, cooperative e socialmente stabilite, che contengano beni interni, i quali sono realizzabili raggiungendo dei standard di eccellenza, che definiscano l’attività stessa, facendo sviluppare capacità permeabili nel tempo e nella storia”.
Per far si che ciò avvenga è molto importante considerare l’educando, “non un vaso da riempire”, ma un essere che alla fine dell’educazione, dovrà inserirsi in una società in cui gli stimoli sono infiniti e contrapposti tra loro. Lo sviluppo ideale è quello di un’essere che sappia liberarsi dalla sua maschera per poter vivere in maniera autentica il dono della vita.
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