DELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO ALLA VITA PRATICA.

DELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO ALLA VITA PRATICA       

            Nell’aula scolastica l’apprendimento non viene percepito nello stesso modo, tempo e – direi – anche contenuto. Vi sono coloro i quali hanno la capacità di apprendere nel momento concreto, reale, nel tempo dedicato alla lezione a scuola o nell’aula; costoro si trovano in una situazione ordinaria. Vi sono altri che impiegano un tempo maggiore per arrivare a questo livello di apprendimento. Infine vi sono quelli che hanno difficoltà nel comprendere o nel seguire la lezione in aula; in essi si percepisce un fastidio nell’apprendere e, il fatto di trovarsi in una situazione specifica, richiede al docente un’attenzione particolare e un intervento per non lasciarli indietro. Da una parte questo sollecita nel docente una riflessione critica e autocritica sulla sua persona (competenza), sul metodo adoperato e sulla qualità dell’insegnamento; e dall’altra parte il ruolo maggiore del discente in questo processo di apprendimento, cioè la sua responsabilità nel apprendere, il tempo che egli dispose per il lavoro e lo studio personale.

            Dalla decisione del docente di non trascurare la resistenza o la difficoltà che attraversa il discente, dalla volontà di aiutarlo a progredire nel processo dell’acquisizione della conoscenza, nasce ciò che Meirieu chiama: “la riflessione pedagogica” o il “pensiero pedagogico”, cioè la ricerca delle vie di soluzione, di come andare avanti, come superare l’ostacolo. Perché, come dice Dewey, la pedagogia non si accontenta solo di descrivere e riflettere sulla realtà, ma cerca di cambiarla, di influire su di essa, per cui la pedagogia si presenta come “scienza pratica”.

            Come applicare ciò che abbiamo esposto nella vita quotidiana, cioè al di fuori dell’ambito scolastico? Tutti viviamo, ma non tutti percepiamo la vita o la viviamo nello stesso modo. Ciascuno la percepisce o la definisce partendo della propria esperienza vissuta. Per alcuni la vita è così preziosa e la si vuole custodire e curare da se stessi; per altri la vita, malgrado i problemi che può comportare, ha sempre il suo senso; per altri ancora la vita non rappresenta niente, non ha più il suo valore profondo, ed apre la strada all’omicidio, al suicidio o forme simili, dal momento che la vita non serve a niente come dimostra l’esperienza che hanno avuto. Nel campo educativo si pone un momento pedagogico: lo stato problematico necessita l’intervento di un docente per potere superare questa difficoltà che incontra il discente. In questo caso, l’individuo in stato problematico deve seguire la voce interiore che ci parla sempre nel profondo di noi stessi, indicandoci la via retta da seguire: si tratta della coscienza o di ciò che il vescovo di Ippona, Agostino, chiama “maestro interiore”.

            In questo piccolo elaborato, abbiamo voluto dimostrare come al di fuori del campo scolastico si possa applicare, nell’esperienza quotidiana, la conoscenza acquisita a scuola.

Studente FSE - creato da SG 20/09/2019

Lascia un commento