1 commento su “l’educazione nello sport e la conoscenza tacita

  1. È vero, l’ambiente sportivo, quando si vive con lo spirito giusto, e quindi motivati dal senso profondo dell’attività specifica che si svolge, diventa un campo privilegiato per l’educazione. Il tuo articolo mi ha portato a far memoria delle innumerevoli esperienze vissute lungo nove anni nella pratica del Taekwondo; tempo che mi ha segnato profondamente e che senza dubbio è parte molto importante della mia vita e del camino di formazione della mia identità come persona.
    Le arti marziali infatti hanno in sé tanto potenziale educativo. La figura dell’educatore, che in questo caso è molto più di un allenatore, giacché tra di lui e l’educando si istaura un rapporto educativo che potremmo chiamare “maestro-discepolo”, ha la missione non solo di insegnare delle tecniche, ma di trasmettere anche dei valori e degli atteggiamenti che il discepolo è chiamato a vivere dentro e fuori il doyang (lo spazio fisico dove si pratica il Taekwondo), ad esempio il rispetto, l’obbedienza, l’ascolto attento, il coraggio, l’onestà, l’impegno, la formazione del carattere e della volontà. Tutto ciò richiede dall’educatore non solo delle competenze tecniche, ma anche quelle umane che gli permettano di formare gli educandi sia a livello fisico che umano e potremmo dire anche nella loro dimensione spirituale. È indispensabile quindi –come giustamente hai notato te– che il maestro conosca i suoi discepoli, che sia capace di “leggerli” (secondo la metafora della pratica educativa come conversazione), in modo da accompagnarli nel modo giusto, di saperli motivare e quindi di aiutarli a tirar fuori il meglio di loro nel doyang e soprattutto nella vita.

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